venerdì 14 dicembre 2012

Cielo da neve


Adeline guardò il cielo, nell'uscire da lavoro, e pensò che fosse un "cielo da neve": nuvole di un colore più chiaro, quasi giallo, rispetto alle sere in cui sono cariche di pioggia. Il cielo le dava un'impressione di pienezza quasi surreale, come se si potesse toccare con mano.

Sì, che quello fosse un cielo da neve era incontestabile.

Poi un pensiero si era fatto strada dai meandri del suo cervello, manifestandosi come una domanda: "Da quando ci siamo abituati a pensare che sia normale che il cielo rannuvolato la notte sia giallo o arancione?".

Adeline alzò gli occhi al cielo e spostando l'ombrellino dalla sua vista osservò con attenzione le striature giallastre delle nuvole che riflettevano le luci della città.

Forse il momento in cui tutto era cominciato se lo ricordava, anche se in qualche modo era sfuocato, lontano negli anni.

Quando era piccola il cielo di notte era sempre blu scuro, se lo rammentava bene, anche perché quando le sere di pioggia avevano incominciato a diventare più chiare lo aveva notato e aveva chiesto perché. Le avevano risposto che si trattava di inquinamento. Le particelle di smog e quant'altro sono leggere a sufficienza per salire verso l'altro, ma, dato che sono più spesse del vapore acqueo, riflettono i colori.

Da allora dal cielo Adeline non ha più visto cadere semplici pioggia o neve con cui bagnarsi i vestiti e le labbra, ma particelle di inquinamento che dall'alto di dove erano arrivate ricadevano verso la loro origine terrestre. 

All'inizio l'idea la sconcertava, poi vi si era abituata fino a non farci più caso, come se fosse normale dover andare in luoghi senza fabbriche e senza città per gustarsi una notte nera in serate di pioggia, come se fosse normale non poter più allungare la lingua per assaggiare la neve, come se fosse normale struccarsi la sera e trovare oltre al trucco il nero dello smog sulla pelle.

Adeline abbassò lo sguardo e l'ombrello, pensò che l'abitudine è una brutta bestia e proseguì per la sua strada.

mercoledì 5 dicembre 2012

Intervista a Alessandro Pedretta Kresta per Negazioni: maledetta fanzine senza paraocchi e paraculi



Chi c'è dietro a Negazioni

AlessandroPedretta Kresta, 37 anni. Schiavo delle piramidi e scrittore suicida.

Tu sei la mente che si trova all’origine della fanzine Negazioni, giunta ora al suo secondo numero, ma prima di parlare di questo vorrei rompere il ghiaccio con una domanda semi-personale. Recentemente hai pubblicato un libro di poesie, questanonèpoesia, ti andrebbe di raccontarcelo, ma, soprattutto di spiegarci il perché di un titolo apparentemente così contraddittorio?

Il titolo nasce per poter dissacrare la poesia come antico veicolo per trasmettere emozioni-fotocopia, la poesia che imperversa in rete o in librettucoli che ci propinano la solita lezioncina su amore, sofferenza, fuori piove e mi sento tanto male. Questanonèpoesia anche perché in questo modo non dissacro solo la poesia che sta altrove ma dissacro e sbeffeggio soprattutto la mia, potenziandola, in questo modo, con  quel messaggio che spero sia il più irriverente possibile. Ma non è solo questo. È anche altro: questanonèpoesia perché vuole uscire da quel sentiero solcato da una miriade di soggetti prostrati a una cultura di massa, una specie di cancro di questa società moderna, dove poesia è ogni cosa, dove arte è ogni cosa, una macchia su un foglio, un presentatore che sorride con la sua dentatura equina in tv, uno stronzo in scatola, la pipa che non è una pipa. È un libro dove i miei umori prendono corpo. Ma poi è così stancante parlare di poesia. Si dovrebbe leggerla, non parlarne. Si dovrebbe viverla.

All’interno del tuo percorso personale come si inserisce Negazioni?

Mi sono sempre piaciute le fanzine autoprodotte di controcultura, anarchiche o di musica hardcore che giravano soprattutto negli anni 80/90 e mi è venuta la stramba idea di proporne una che attaccasse la cultura con un altro tipo, appunto, di cultura – la cosiddetta “sottocultura”. La cultura di certi scrittori underground, di certa musica perlopiù ai bordi, di giovani poeti emergenti o semplici narratori di esperienze accomunati dalla voglia di dire, urlare le proprie sensazioni ma relegati soltanto in piccoli siti web, o su facebook dove ho conosciuto il gruppo col quale produciamo questo virus di letteratura e arte dissacrante.

Com’è nato questo progetto editoriale e quali sono i suoi obiettivi?

È nato, come ho detto, incontrando altri ragazzi dalla stessa indole controculturale, poi aggregatici  in un gruppo facebook. Come ogni cosa anche facebook non è solo alcove di cazzate, di idolatria delle frasi ad effetto a aforismi di scrittori morti anni fa. Ogni sistema lo si può capovolgere e usarlo per propri interessi. Si sceglie e ci si sceglie. Inizialmente l’idea era di produrre una fanzine anche cartacea e distribuirla in posti mirati in giro per l’italia dato che la nostra miserevole e dannata squadra di organizzatori si sviluppa in tutta la penisola. Andreas Finottis dal nord est, Mauro Bellicini Brescia, io e Giuseppe Baldassarra di Varese, Ty Elle da Firenze e lo scrittore profano Giovanni Favazza da Catania, ma per adesso ci accontentiamo di divulgarla solo via web. L’obiettivo penso sia  di diffondere la fanzine a più persone possibili e creare sinergie sempre più vaste con nuovi autori, artisti di nicchia che trovano difficoltà nel proporre le proprie cose. Ve lo assicuro, ci sono tanti giovani che sanno dire o presentare la propria arte meglio di qualsiasi noto e riciclato personaggio di fama.

Che cosa distingue, secondo te, Negazioni dalle altre fanzine che vengono divulgate via web?

La nostra fanzine è basata soprattutto da scritti di giovani e esordienti o comunque poco conosciuti autori. Vuole essere dissacrante ma non cedere nell’emulazione dello scritto “maledetto” che manda affanculo comunque e chiunque catalogandosi in questo modo in un certo target. Noi non vogliamo dare punti fermi, non vogliamo entrare in una categoria, noi, come dice il nome della fanzine, neghiamo anche noi stessi, e neghiamo la stessa negazione. Siamo la negazione al quadrato.

Quali sono le tue aspettative – e in generale quelle delle persone che scrivono su Negazioni – rispetto alla realizzazione di una fanzine simile?

Le aspettative penso siano semplicemente di proporre qualcosa di diverso, che rompa gli schemi ma che non rientri in nessuna corrente preconfezionata. Vogliamo essere molesti ma non stupidi, vogliamo essere stupidi ma non illogici, vogliamo essere illogici e anche colti, completamente idioti e i re dei saggi. Tutto e niente. Non ci sono linee progettuali. Siamo una zona temporaneamente autonoma che muta, si trasforma, non ha un nome, sputa sul nome.

Quali sono i tuoi propositi per il futuro di Negazioni?

Renderla una rivista con spunti sempre diversi, a 360°, con spazi più ampi riguardo a musica relegata in piccoli spazi, arte autoprodotta, far conoscere luoghi dove incontrarsi e divulgare un diverso modo di pensare l’arte, il fare, una lotta contro le direttive mediatiche che ci dicono: questo è bello e buono, questo no.
Questo e altro. Negazioni deve essere una creatura con vita propria, che si fa trascinare dagli istinti, dalle piccole manomissioni a un coacervo di nozioni impartite da un certo potere anche culturale che ci sovrasta.


Per dare un'occhiata a tutti e tre numeri usciti e per entrare in contatto con gli autori della fanzine basta accedere alla pagina facebook di NEGAZIONI maledetta fanzine senza paraocchi e paraculi.   

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