martedì 26 giugno 2012

Il Dalai Lama rivolge il suo sorriso ai giovani



Il Dalai Lama è entrato sul palcoscenico senza cerimonie: salutandoci - noi studenti delle università milanesi - con un sorriso, a passi lenti, ma solenni ed energici. Si è quindi seduto sulla poltrona indicatagli, si è tolto le scarpe e ha incrociato le gambe e così è rimasto praticamente sino alla fine dell'incontro.

Il messaggio del Dalai Lama è stato un tentativo di insegnare ai suoi "fratelli e sorelle più giovani" il coraggio, l'intelligenza, la compassione. La richiesta di fare la nostra parte nel nuovo secolo appena iniziato, di rendere il mondo un luogo migliore, di pace e felicità.

Noi infatti siamo tutti uguali, fisicamente, mentalmente, abbiamo tutti dei problemi, ma ciò che maggiormente ci accomuna è la ricerca costante della felicità. Il periodo più felice della sua vita è stato quello dell'infanzia e della prima adolescenza, perché dai 16 anni è stato privato della sua libertà, mentre dai 24 anni ha dovuto abbandonare il suo Paese. Inoltre durante tutta la sua esistenza, ormai di quasi 77 anni, ha osservato lo sviluppo di grandi violenze: dal 1935 si è trovato di fronte alle guerre mondiali, le tensioni tra la Cina e il Tibet fino all'occupazione di esso, la guerra del Vietnam, ... La sua vita è stata una vita di tribolazioni, però, guardando alle sue spalle vede anche enormi cambiamenti, per cui da una concezione che divideva "noi" e gli "altri" affrontata con la violenta, si è passati, tramite anche i movimenti pacifisti, a un suo rifiuto. L'umanità è migliorata negli ultimi anni, perché ha reagito alle difficoltà non perdendo coraggio, ma cogliendo nella differenza un'opportunità di crescita caratterizzata da un’apertura mentale nuova. Al futuro si deve dunque guardare con speranza, perché esso è certo imprevedibile, ma modellabile. 

Per costruire un mondo di pace è necessario un unico presupposto fondamentale: la pace interiore dell’individuo, infatti noi non siamo solo materia, come le piante o i fiori, ma abbiamo una coscienza, e quindi di essa dobbiamo prenderci cura. Non è possibile la pace di uno Stato, una società, una comunità, una famiglia, se alla radice non c’è la pace interiore di ognuno. Essa non è qualcosa di sacro, ma significa prestare attenzione alla propria interiorità, utilizzando la propria intelligenza non solo per discriminare tra una scelta e l’altra, ma per comprendere in che modo affrontare i problemi che si presentano nella propria vita. Il Dalai Lama stesso afferma di aver vissuto tanti momenti difficili e che, in questi, è stato però in grado di trarre un grande conforto dalla propria attitudine mentale e dalla sua intelligenza, capace di aiutarlo ad affrontare i problemi osservandoli da diversi punti di vista. Infatti, vedere un problema non da un solo punto di vista, ma da differenti, può essere in grado di trasformare ciò che crea difficoltà in un’opportunità. L’intelligenza può quindi connettersi con l’emotività, la quale deve essere solida e calma.

La radice di un mondo di pace fondato sulla pace interiore è il buon cuore, la compassione, l’occuparsi degli altri. Spesso verso gli altri si prova odio, paura, perché si teme di essere ingannati, di soffrire a causa loro, ma se a essi ci si rivolge nell’ottica del loro benessere, con questo obiettivo stabile allora non si avrà più paura, non si proverà più odio. Provare compassione e amore nei confronti degli altri non significa però essere schiacciati da loro a partire da un atto di eccessiva umiltà. È necessario piuttosto distinguere la persona dalla sua azione: se la prima è oggetto di buon cuore, la seconda, se malvagia, è da combattere, ma non con odio o avversione, ma attraverso l’identificazione dell’azione. Infatti solo se l’azione viene identificata nella sua negatività è possibile perdonare: se l’azione viene dimenticata finisce per perdersi la base stessa per il perdono. Per eliminare le azioni negative è quindi necessario rivolgersi alla persona che l’ha compiuta con amore e affetto, nella consapevolezza che chi si comporta in modo malvagio è in una strada che porta all’autodistruzione.

Per realizzare un secolo di pace, di rispetto, che consideri i diritti degli altri, dobbiamo dare valore agli altri, ai loro diritti e ai loro problemi. Con questo non vuol dire che i problemi finiranno, ma che essi non vanno affrontati con la forza, ma che è necessario dialogare. È possibile fondare  un vero dialogo rendendosi partecipi dei problemi dell’altra parte. 

Il Dalai Lama propone come strada un’etica laica, secolarizzata, slegata dalle religioni che si fondi sul beneficio della persona, ovvero sulla pace mentale che, guidata da compassione e buon cuore, conduce alla felicità. Rifiuta le formalità che non permettono di arrivare al punto, che eludono la praticità, perché i due momenti più importanti della vita sono la nascita e la morte ed essi sono totalmente privi di formalità. Le formalità sono inutili, superflue, è necessario piuttosto essere onesti, veri. 

Il Dalai Lama ha affidato queste sue sagge parole, derivate da anni di grandi difficoltà e tanto coraggio, a noi giovani, preparandoci a un percorso di certo non in discesa, ma carico di prospettive e di speranza. Lo ha fatto senza mai smettere di sorridere, con una forte carica carismatica fatta di autoironia e partecipazione. Consapevoli della grande energia spirituale e fisica che ci ha dedicato noi non possiamo fare altro che tesoro dei suoi insegnamenti e impegnarci affinché essi trovino un terreno fertile nei nostri atti, nelle nostre menti e, soprattutto, nei nostri cuori. 

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