lunedì 24 ottobre 2011

Il paradigma della lentezza


Adoro scendere alla stazione Centrale a Milano: cartelloni pubblicitari giganti, gente di fretta, treni che partono e arrivano, caffè e panini preparati alla velocità della luce nei bar. Movimento, frenesia, agitazione. Un insieme di cose che rispecchiano il mio stato d’animo, i miei sentimenti di istantaneità e desideri di realizzabilità. Eppure alla fine non riesco mai a fare tutto, anche se continuo a correre in una lotta senza fine contro il tempo – al punto da sentirmi un po’ come la protagonista di Lola corre
Il mondo intorno si muove con criteri temporali che alle volte sembrano scorrere troppo veloci: bisogna essere istantaneamente informati, perché l’informazione giunge velocissima; bisogna fare mille cose contemporaneamente perché altrimenti non si è abbastanza veloci; bisogna incastrare gli impegni al secondo perché ci si può muovere velocemente da un luogo ad un altro. Ogni cosa è pensata e vissuta in funzione della velocità, di “uno-spazio-fratto-un-tempo”, al punto che essa sembra essere l’unica discriminante temporale conosciuta. Ma la velocità non è sola e come ogni concetto possiede un alter ego, ovvero la lentezza. 
E se fosse la lentezza a diventare il punto di riferimento del modo di vivere occidentale? La legge fisica non cambierebbe, ma il nostro modo di pensare e di vivere forse sì. Già basta paragonare alcune espressioni: definire qualcuno più o meno lento suona diverso dal definirlo più o meno veloce. Il riferimento alla lentezza appare meno offensivo, più pacato e tollerante. Forse anche perché la lentezza può essere connessa a stili di vita completamente diversi dai nostri, come per esempio quello della cultura indiana, caratterizzato da una generale tranquillità e rilassatezza esistenziale. Anche in India alle elementari leggono la favola della lepre e della tartaruga di Esopo e traducono la classica morale “chi va piano va sano e va lontano” in un’esaltazione della lentezza come unico vero principio per vivere una vita felice e serena. La velocità corrompe, innervosisce, meglio fare con calma, si compiono anche meno errori. Imparare la lentezza non è però così scontato: si tratta di prendersi il giusto tempo per stare con se stessi e con gli altri, dedicarsi magari meno al lavoro e al successo in favore degli affetti. Qualcosa che in realtà non è poi così incomprensibile anche per noi occidentali. Infatti i saggi dell’antica Grecia, la culla della nostra civiltà, proclamavano che l’uomo virtuoso è colui che è in grado di cogliere i veri valori, che sono ben diversi dall’onore e le ricchezze, perché questi sacrificano troppo la salute e i rapporti d’amore per essere ottenuti. Infatti, come scrive Aristotele, l’uomo virtuoso è colui che “agisce in favore degli amici e della patria” e non per piacere o guadagno.
Forse allora non è necessario andare fino in India per cercare di comprendere il paradigma della lentezza, ma è sufficiente guardarsi alle spalle, cercare fra le proprie radici. 

Direttamente da Luzer!

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