domenica 6 febbraio 2011

Emicranie

Chiudendo gli occhi poteva sentire il battito del suo cervello: le tempie pulsavano nervosamente e tutto bruciava di un fuoco interno, di un'infiammazione come quella che può causare il peperoncino sulla carne viva, aperta da una ferita.
Jacques odiava il mal di testa, eppure la sua predisposizione genetica lo aveva reso un fedele compagno della sua vita, al punto che alle volte nemmeno ci faceva più caso, lo considerava come una condizione standard dell’esistenza. Nei momenti peggiori, quelli in cui proprio non riusciva quasi nemmeno a stare seduto su una sedia senza rischiare di perdere l’equilibrio, chiudeva gli occhi, stringeva una mano a pugno contro la fronte, inarcava le sopracciglia e pensava profondamente. Il contenuto delle sue riflessioni era di poca importanza, fatto sta che quello per Jacques rappresentava l’unico modo per trovare sollievo: concentrarsi completamente su qualcosa d’altro rispetto al mal di testa, fino al momento in cui nuovamente il dolore si riduceva e lui ricominciava a poter vivere con una calma maggiore.
Alle volte pensava che senza le sue costanti emicranie sarebbe stata una persona diversa, meno cerebrale, perché proprio a causa di quel continuo pulsare si era impedito molti sport e aveva abbandonato il conservatorio di pianoforte un anno prima del diploma.
Qualcosa però gli era comunque rimasto e ciò erano i libri, e di libri ce n’è per tutti i gusti: per i mal di testa forti e per quelli più permissivi, passando da quelli pulsanti a quelli più infiammati. Jacques aveva infatti imparato che c’è un libro per ogni tipo e forza di mal di testa e lui un giorno tutto questo sapere lo avrebbe messo in pratica, scrivendo il libro che si sarebbe adattato perfettamente al mal di testa di tutti.

sabato 5 febbraio 2011

Radici

Stare nella stessa città per tutta la vita?
No, non faceva per lei. Secondo Cane ogni strada valeva un’altra, ogni casa un’altra, ogni posto un altro. La vita era sempre e comunque altrove rispetto a un luogo che veniva consumato dalla sua presenza, calpestato dai suoi piedi, invaso dal suo odore. Non riusciva a capire come appartenere sempre agli stessi vicoli e ciottoli potesse permettere un’esistenza piena, ricca, fatta di diverse esperienze e sempre nuove conoscenze. Aveva deciso di muoversi, infatti, ogni volta che ne sentiva il bisogno, con chiunque ci fosse nella sua vita in quel momento, oppure da sola. Da quando il capitolo scuola era stato magistralmente chiuso Cane si divincolava in ogni istante dalle limitazioni che il mondo impone, dalle dipendenze, dalle proprie radici. Non sapeva proprio che farsene delle radici; esse per lei rappresentavano solo un ostacolo al movimento, quel movimento veloce che la faceva sentire viva, che le permetteva di provare l’ebbrezza della libertà. Sempre quasi febbrilmente, muovendosi come un animale affamato, lei saliva su treni o autobus, faceva l’autostop, svolgeva lavoretti occasionali per guadagnare quei pochi soldi che le servivano, pernottava da amici di amici di amici, per strada oppure non dormiva affatto per continuare a vivere semplicemente, per gustarsi un’altra notte di libertà. Cane non era una nomade, ma nemmeno una vagabonda o una nullafacente, semplicemente Cane voleva vivere.